giovedì 16 aprile 2009

Stalinismo e utopia astratta

Cari amici di Liberazione,
mi permetto di inviarvi questa lettera per il fatto che sono stato particolarmente colpito dal dibattito provocato dall’ultimo libro di Domenico Losurdo, Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, con un saggio di Luciano Canfora, Carocci, 2008. Ho letto con grande interesse la recensione critica di Guido Ligori e la lettera dal titolo «Stalin, non ci stiamo», firmata da membri del Comitato di redazione di Liberazione. Questo testo esprime non solo il rifiuto etico e politico dello stalinismo, ma anche una grande amarezza, se non un’indignazione per la ricerca di Losurdo.
In breve, la storia della leggenda nera alla quale hanno dato luogo le vicissitudini della politica staliniana è denunciata come una sorta di revisionismo cripto-staliniano, mirante a rovesciare la critica liberale del totalitarismo mediante una giustificazione del realismo staliniano, come un’apologia indiretta della politica staliniana, presentata quale l’unica politica realista del suo tempo, superiore per lucidità a quella delle opposizioni interne degli anni trenta. Questa impresa sarebbe non solo inutile, dato il carattere scontato dell’argomento – non ci sarebbe nulla da aggiungere alle critiche esistenti di Kruscev, Arendt e tanti altri – ma anche politicamente equivoca e negativa, dato che lo sforzo di comprensione si rovescerebbe in giustificazione dell’ingiustificabile e costituirebbe un salto all’indietro, che impedirebbe il rilancio di una politica di autentica liberazione,
A questo punto vorrei presentare alcune considerazioni da introdurre in un dibattito cruciale per le prospettive di emancipazione.
1. In nessun momento Losurdo nega la massa enorme di orrore implicita nelle violenze della politica staliniana. Egli cerca di comprendere quello che appare incomprensibile. Egli ha il coraggio intellettuale e etico-politico di affrontare la vulgata liberale divenuta senso comune, e divenuta altresì in modo acritico il presupposto di un sinistra incapace di costruire un giudizio storico autonomo, perché essa continua a essere dominata dall’immaginazione secondo la quale al posto della teoria subentra il pentimento.
2. Losurdo presenta i documenti e una bibliografia altrettanto ampia che variegata, sulla quale egli lavora utilizzando gli autori ideologicamente più lontani. Occorrerebbe per lo meno presentare una diversa ricostruzione, se si accetta l’idea che non tutto è stato detto facendo ricorso alla categoria di totalitarismo: su di essaArendt ha proceduto a una serie di variazioni, finendo persino con l’evocare un neototalitarismo liberale, iscritto nella possibile produzione di un’altra umanità superflua. Occorrerebbe per lo meno rimettere in discussione le tappe di questa storia: collettivizzazione forzata delle campagne e rottura della difficile alleanza con il mondo contadino, peso enorme della guerra condotta dalle grandi potenze capitaliste, radicalizzazione estrema e da ogni lato della lotta delle opposizioni interne.
3. Se lo stalinismo ha fallito e ha compromesso l’idea di socialismo o piuttosto di comunismo, questo scacco si è verificato dopo il 1945, soprattutto a causa dell’incapacità di una riforma democratica dell’apparato di Stato e delle pratiche di segretezza e di coercizione. Resta il fatto che l’Urss è stata un punto di appoggio per le lotte anticoloniali del XX secolo, che essa con Stalin ha saputo condurre una guerra vittoriosa contro il nazismo, la cui vittoria sarebbe stata una catastrofe senza nome, che essa a tratti e frammentariamente ha saputo creare gli elementi di Stato sociale di cui hanno beneficiato le masse popolari e che sono sati distrutti dall’attuale capitalismo russo mafioso. Ciò non giustifica nulla, ma così sono andate le cose. Losurdo ha il diritto e il dovere di confermarlo, senza nascondere il prezzo dell’impresa e senza ignorare lo scacco finale. Si tratta di verità sgradevoli per lo pseudo-senso comune liberale, così come sono verità atroci per il senso comune socialista e comunista le violenze di massa perpetuanti lo stato d’eccezione al di là di ogni misura. Gramsci tuttavia non ci ha invitati a guardare in faccia anche le verità più sgradevoli?
4. Il metodo di Losurdo combina due approcci la cui legittimità teorica mi pare provata. Da una parte egli constestualizza permanentemente le scelte di politica interna e estera che si presentano nel corso della storia. Dall’altra parte egli fa costante ricorso a una comparatistica tra le pratiche dell’Urss e quelle delle democrazie occdentali, non già per relativizzare e minimizzare la violenza staliniana ma per comprenderla in relazione a ciò che era la violenza in quel determinato momento. Così facendo, Losurdo si iscrive nel meglio della tradizione del realismo critico italiano, che passa attraverso Machiavelli, Cuoco, Leopardi, Croce, Gramsci. Egli si distingue sempre dal realismo controrivoluzionario di Mosca, Roberto Michels e Pareto.
5. Il vero problema critico è di sapere se questo metodo è applicato senza falle. A questo proposito penso che Losurdo tende a storcere troppo nel senso opposto il bastone della vulgata liberale divenuta storia sacra. Egli ritiene che, tutto sommato, Stalin ha avuto la meglio grazie al suo realismo che gli ha consentito di sviluppare un processo di modernizzazione e di affrontare il nemico mortale che era il nazismo. Ci si potrebbe chiedere se nel corso della storia in atto, dello svolgimento storico, non erano possibili altre scelte, per quel che riguarda la collettivizzazione delle campagne, il mantenimento delle alleanze sociali, la repressione contro gli oppositori, il culto della segretezza, l’ossessione del tradimento e la cultura del sospetto, la negazione di ogni democrazia di massa. Una volta che la storia si è svolta, c’è la tentazione di dire: tutto sommato, le cose sono andate così e non diversamente, schiacciando così sul risultato che si è verificato le possbilità rimosse. A mio avviso, questo è il vero dibattito. Losurdo non merita il rimprovero di cripto-stalinismo; la sua ricerca imponente merita una diversa accoglienza per chi vuol conservare la ragione. Guido Liguori vede giusto allorché evoca uno «storicismo giustificatorio» che rischia di assolvere tutto in nome del realismo del fatto compiuto. Losurdo non giustifca tutto ma egli enuncia troppo presto la chiusura del possibile. Egli resta qui troppo hegeliano.
6. In ogni modo, questo lavoro di rilettura critica di questo passato è indispensabile. Losurdo ne tira una lezione negativa finale che concerne punti importanti della teoria marxista. Nel suo modo astuto e brutale lo stalinsimo ha tenuto conto dei rapporti di forza, pur mantenendo l’utopia di un’estinzione in corso dello Stato, del diritto, della religione, della morale familiare, nel momento in cui queste realtà si imponevano sotto forme diverse. Richiamandosi a Gramsci, Losurdo critica un certo utopismo marxiano, condiviso al tempo stesso da Rosa Luxemburg e da Karl Kautsky. Tuttavia, una cosa è la critica di un’utopia astratta, negatrice delle forme storiche generali, altra cosa è il senso di una speranza concreta, scaturita dalle ispirazioni delle masse subalterne e mirante alla negazione determinata di forme storiche oppressive. E’ questa speranza che la dittatura staliniana, malgrado i suoi meriti e il suo stringente realismo, ha soffocato. Così è stata accreditata la tesi secondo cui la storia aveva sciolto i nodi e dimostrato che era impossibile ogni emancipazione comunista o socialista. E’ questa speranza che rinasce debolmente dalle lotte del presente. E’ ad essa che deve servire l’indispensabile storia critica sommamente sgradevole, alla cui ricostruzione Domenico Losurdo contribuisce in maniera possente, a suo modo e nei limiti che egli non rifiuterà di discutere.
Cari amici,
vi ringrazio per la vostra attenzione. Ho voluto partecipare a un dibattito che è esplosivo, sapendo che il regime del pensiero non è quello del motore a scoppio. Spero di non aver offeso nessuno. Non era questo il mio intento.
Col mio saluto fraternoAndré Tosel

Nessun commento:

Posta un commento